Un gesto storico nella celebrazione del 15 aprile

Meris Corghi

Un gesto storico nella celebrazione del 15 aprile: dal sangue del martirio è fiorito il miracolo della riconciliazione

La figlia del partigiano che uccise il giovane seminarista ha chiesto perdono per l’odio che ha travolto la vita di Rolando

Il settantatreesimo anniversario del martirio del Beato Rolando Rivi è stato caratterizzato, nella celebrazione di domenica 15 aprile 2018, da un importante e storico gesto di riconciliazione. Un evento così sorprendente e inaspettato che il Vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca, non ha esitato a definirlo come un “miracolo”. Un segno evidente del fatto che “non c’è luogo, tempo o persona che non possa essere raggiunta da Cristo”, perché “tutto è ambito della sua azione, della sua parola, della sua luce”.

Alla celebrazione era, infatti, presente Meris Corghi, la figlia del partigiano comunista che, il 13 aprile 1945, nel furore della guerra, alzò la mano armata contro il giovane seminarista, uccidendolo in odio alla sua fede cristiana. Settantatre anni dopo Meris, portando una corona di alloro e gigli bianchi, è venuta nell’antica Pieve di San Valentino, dove il Beato Rolando è sepolto e venerato, a chiedere perdono per l’odio “che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando”.

Una richiesta maturata attraverso un percorso umano e spirituale durato anni e da cui, come lei stessa ha detto, Meris è stata “trasformata profondamente nell’animo”. Nata intorno agli anni 60, è cresciuta sapendo “praticamente nulla” della vicenda di Rolando, perché il padre Giuseppe, che per lei è stato un buon papà che la circondava di affetto, “un punto di riferimento”, parlava ben poco della guerra. Poi, dopo la morte di Giuseppe, avvenuta nel 1998, Meris ha incominciato a “porsi delle domande” e successivamente è venuta a conoscenza di tutta la verità.

Da allora la sua vita è diventata una missione per “far ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori”. È iniziato così un cammino in cui Meris si è sentita guidata dall’Alto: “Non ho quasi idea di come sia successo, so soltanto che è stato come essere guidata. Sì, sono stata guidata. Forse dalla presenza di mio padre nel cercare una risoluzione per poter ritrovare la pace. Forse dalla Luce Divina che ognuno di noi porta nel cuore. Forse dallo stesso beato Rolando che desidera più di ogni altro, in questo momento storico così decisivo per il mondo, l’unione e la pace”.

L’esito è stata la richiesta di perdono, non come un gesto formale, ma come scelta personale profondamente sofferta: “È impegnativo per me essere qui”; “Vi chiedo, con immensa umiltà, di permettermi di pronunciare queste parole che mi sono state dettate dal cuore”.

Non un gesto di circostanza, ma l’invocazione della misericordia stessa del Signore che sola può sanare ogni ferita e trasformare l’odio in amore: “Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici”; “Ciò che l’odio del Separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del Sacro Cuore di Gesù e nel nome del Padre”.
Alla domanda di perdono, a nome di tutti i familiari di Rolando, Alfonso Rivi ha risposto con queste parole: “Il Beato Rolando era per i fratelli Rosanna e Guido e per noi cugini l’amico prediletto per ogni gioco, ma anche, da giovane seminarista, il maestro che ci ha introdotto a ciò che veramente conta: la fede in Dio.

“La sua morte ha segnato le nostre vite con un dolore profondo, illuminato però da quella stessa fede, da quello stesso affidarci al Signore, che Rolando ci aveva testimoniato e insegnato.
“Così dal martirio di Rolando abbiamo visto fiorire, nel tempo, un bene sempre più grande, come nel giorno della Beatificazione, quando siamo stati inondati dalla commozione e dalla letizia.
“Nei nostri cuori rimaneva però una segreta speranza, che cioè anche la violenza usata contro Rolando fosse in qualche modo redenta, perché la vittoria del bene sul male potesse giungere alla sua pienezza.

“Per questo oggi abbiamo accolto con gioia la presenza di Meris Corghi tra di noi, come fosse una sorella, e alla sua domanda di perdono rispondiamo di cuore con il dono del perdono. Un dono che non è roba nostra, ma viene da Dio che per primo, in Cristo, come ci insegnava Rolando, ci ha amati, perdonati e redenti.
L’abbraccio che ne è seguito è stato veramente “il simbolo della vittoria dell’amore di Dio”.

(Nella foto Meris Corghi durante il suo intervento, con la richiesta di perdono, nella Pieve di San Valentino)